Garibaldi fu ospite praticamente in tutta Italia, non c’è città o anche piccolo paese che non rechi una lapide o una targa legate al passaggio o alla sosta di Garibaldi.
In particolare nel gennaio 1849 toccò diverse città marchigiane; quella che gli fu più cara, Macerata, dove –recita la lapide posta sulla torre comunale di Piazza Libertà- “stette e formò la prode legione che rintuzzando l’orgoglio straniero difese il 30 aprile in Roma il labaro dell’italica libertà al duce immortale”.
Ai Maceratesi l’Eroe dei due mondi indirizzò il 23 gennaio di quell’anno una lettera piena di riconoscenza : “Addio Maceratesi, Voi avete meritato che ci dividiamo da voi commossi riconoscenti. Contristata l’anima dall’allontanarsi da amici carissimi, noi vi dirigiamo la parola d’amore e di fratellanza; partiamo commossi dall’affetto vostro … e noi vi contraccambiamo con la dedica del primo fatto d’arme di cui potrà dirsi della legione che ha ben meritato della patria. Addio!”
Ancora prima però, il 17 gennaio era stato a Fermo, ospite dell’Avv. Giambattista Murri (padre dell’illustre clinico Augusto) e qui, al Teatro dell’Aquila aveva assistito ad una rappresentazione drammatica. Si narra che recatosi al Caffè Broglio (situato dove oggi è l’ufficio di Polizia municipale) chiese da bere ma quando vide dietro il bancone, in bella mostra, il ritratto di Carlo Alberto, qualificò il sovrano “traditore della patria” e ne squarciò l’effige con la spada. Quella notte dormì a casa del Conte Mancini – Spinucci la cui stanza con letto a baldacchino, sedie, specchiere e comò, è conservata intatta.
A Grottammare Garibaldi diede l’ultimo assetto alla legione: “Correndo il gennaio dell’anno 1849 – soggiornò Giuseppe Garibaldi – che del Romano Cincinnato ebbe l’anima santa – di Washington la folgore…”.
Nella notte tra il 24 e 25 gennaio soggiornò a S. Benedetto in casa Neroni da dove proseguì per Ascoli: qui da Palazzo del Popolo arringò la folla per poi accorrere quindi in difesa della Repubblica Romana.
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