Cammino la Terra di Marca. La piccola chiesa di San Claudio: una testimonianza del tempo che fu

Il fiume Tenna suscita apprensione se non pena. Acqua non ce n’è. La terra degli argini e quella dei campi è grigia. La prendo in mano ed è secca. Brutto inverno, nel senso di troppo bello, troppo caldo, troppo sole. Troppo diverso. I monti Sibillini sono marroni. Neve scomparsa anche in cima e consorzi idrici che piangono.

La chiesa di San Claudio

Lascio l’auto nel piazzale del Centro calzaturiero di Campiglione di Fermo. Salgo a piedi verso la minuscola chiesa di San Claudio, ottocentesca. Pini marittimi la sovrastano. In giro, gli alberi passano dai cipressi alle querce, con centinaia di ghiande sparse lungo il sentiero. Più su, sulla collina più alta, in territorio di Torre San Patrizio, s’intravede il boschetto che abbracciava la villa dell’ufficiale dell’esercito Arturo Galletti e di sua moglie Margareth Collier. La dama inglese, affacciandosi da una finestra che dava sul fiume e guardando la nostra Terra di Marca, scriveva: «Tra l’Adriatico e la catena dei Sibillini giace una campagna fertile e ondulata, ricca di cereali, di vino e di olio. Campi pezzati di grano, di granturco, di trifoglio rosso, di lino azzurro, di legumi, ricoprono le valli e i pendii delle colline. Aceri e pioppi inghirlandati di viti s’innalzano dai campi di grano. Ulivi e gelsi abbondano…». La nobildonna descriveva le acacie, gli olmi, i buoi operosi nei campi e i carri agricoli dipinti. Non un millennio fa, appena 170 anni. Era il panorama che scorgeva, il paesaggio realizzato dagli uomini.

La vallata bassa del Tenna ha subito in 70 anni una trasformazione radicale. Si fatica a pensarla diversa. Di quelle immagini che vedeva la Collier è rimasta solo la piccola chiesa di San Claudio. Il terremoto l’ha colpita duramente. Ora è imbracata, messa in sicurezza. I tiranti la cingono. All’interno è stata posizionata una struttura di metallo che sostiene i muri e potrà servire per un futuro tetto che ora manca. Piccola San Galgano… I lavori li ha diretti l’architetto Patrizia Rugginelli Fanini, professionista che ama la bellezza dei luoghi dove vive e vorrebbe che le testimonianze del passato non cessino di parlare alle generazioni presenti e future. La curiosità è più forte delle recinzioni. Sbircio l’interno. C’è l’altare, c’è la balaustra in ferro, ci sono stucchi e tempere e iscrizioni, una lapide ricorda un sacerdote forse parente della famiglia nobile proprietaria della chiesa. Occorrerà un tetto per proteggere tutto. Magari una copertura provvisoria per limitare danni, evitando il degrado.

Prima del terremoto – mi raccontano – la chiesetta era invasa e soffocata dalla vegetazione, le sepolture erano state profanate. La squadra dei muratori ha pulito ogni cosa. Non rientrava nei compiti, ma l’architetto Rugginelli ha spinto a farlo comunque, gratuitamente, per rispetto di una memoria da preservare. Una memoria ancora più necessaria ora che, a poche decine di metri sorgerà il nuovo ospedale, opera contemporanea che va a sommarsi alle costruzioni scolastiche già attive da tempo. A proposito di scuole, una ce n’era: la più vecchia: scuola di campagna. Ora è sopraffatta dai rampicanti. La si scorge appena. Non è antica. Ma testimonia la storia del nostro Novecento. Non lasciamola morire.

Adolfo Leoni, Il Resto del Carlino, Domenica 16 febbraio 2020

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