Gira un messaggio in rete: bruciamo sul balcone la bandiera europea! Non posso farlo: non ce l’ho. E se ce l’avessi, non lo farei. Perché le sue dodici stelle, inserite nel blu del cielo d’Occidente, furono pensate dal disegnatore tedesco-francese Arsène Heitz ispirandosi ad un verso dell’Apocalisse: «Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una Donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle». Riferimento religioso, dunque. Volontario o involontario, non so. So invece che l’Europa pensata dai veri grandi: Schumann, De Gasperi, Adenauer, nacque per evitare nuove guerre e per favorire l’economia ma ebbe fondamento sul sentimento del perdono dopo le catastrofi della Seconda guerra mondiale. Poi, morti i grandi, arrivarono fotocopie sbiadite, insensibili al richiamo alle comuni radici, come cemento vero. Allora, il problema non è bruciare l’Europa, ma riabbeverarsi alle sorgenti. Tenendo conto, come scrisse lo storico britannico Chistoper Dawson, che «l’Europa non è una unità naturale come l’Australia o l’Africa, essa è il risultato di un lungo processo di evoluzione storica e di sviluppo spirituale». Goethe riportava nel suo taccuino: «L’Europa è nata pellegrinando e la sua lingua è il cristianesimo». Quel cristianesimo che salvò la civiltà ebraico-greco-romana.
Finita la quarantena viaggerò come cacciatore di segni. Sarò sull’Acropoli di Atene. Nelle terre greche nacque filosofia e politica. Visiterò «le porte calde» delle Termopili, dove un pugno di guerrieri rallentarono l’esercito persiano di Serse e fecero scrivere: «Oh, tu che passi per andare a Sparta, dì loro che siamo morti per obbedire alle sue leggi». E per difendere la libertà. Visiterò i monasteri ortodossi abbarbicati alle pareti del Monte Athos. E, volerò in Catalogna per ammirare la mai completa Sagrada Familia di Barcellona che alza le sue guglie contemporanee verso l’infinito. E camminerò il sentiero per Santiago de Compostela. Itinerario di tutti, cristiani e non, alla ricerca del senso della vita. E sarò a Poitier, in Francia, dove nel 732 d. C. Carlo Martello fermò per sempre gli Arabi e dove, per la prima volta, le cronache scrissero degli Europenses, gli europei che vinsero.

E sarò a Citeau (Cistercium), in Borgogna, dove sbocciarono i Cistercensi che nel 1098 si diedero la loro carta costituzionale: la Charta Charitatis. E dove annualmente s’incontravano gli abati di tutti i monasteri d’Europa, primo parlamento (si chiamava Parliamentum) dell’Occidente. E sarà la volta di Aquisgrana, nella Renania del nord, dove risiedette il primo imperatore europeo: Carlo Magno. Dalla Germania alla Repubblica Ceca, a Praga, per ricordare in piazza San Venceslao, ai piedi della scalinata del Museo Nazionale, Jan Palach che il 16 gennaio di 51 anni fa si diede fuoco per protestare contro l’invasione sovietica della sua patria. La prima torcia. Da Praga alla polacca Czestokowa, al santuario della Madonna Nera di Jasna Gora, dove ogni anno arrivano centinaia di migliaia di studenti in pellegrinaggio da tutta Europa. Il viaggio sarà molto lungo. Toccherà anche la Romania dell’Arcangelo Michele, l’Irlanda di san Patrizio, il Portogallo di Fatima e l’Ungheria di Budapest e del circolo Petőfi che tanta parte ebbe nella rivolta del 1956: «Avanti i ragazzi di Buda, avanti i ragazzi di Pest». Non occorre bruciare bandiere. Occorre costruire anzi, ricostruire. Sulle tracce di un nuovo ethos dell’uomo europeo.
Adolfo Leoni, Il Resto del Carlino, Domenica, 5 aprile 2020
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