Uno che non bada alle forme. Uno che non cerca vetrine. Uno che non s’incensa da mane a sera.
Uno semplice, invece. Spontaneo. Diretto. Poche parole. Probabilmente timido sulle prime. Uno di montagna, concreto, cui non importa niente se la foto sul curriculum sia la più bella anzi, volendo, mette la peggiore: quel che conta è la sostanza! Uno però che la musica ce l’ha nel sangue, come nel sangue ha la letteratura e la voglia di insegnarla.

È l’idea che mi sono fatto di Samuele Ricci, violinista, diplomato al Conservatorio di Fermo, compositore, musicista con diversi gruppi marchigiani e abruzzesi, e oggi tornato dietro ai banchi come allievo di viola sempre al Pergolesi. L’ho visto all’opera suonare ed arrangiare brani. C’è stoffa. C’è quella capacità di entrarci dentro. Lui non lo riconoscerebbe mai. In questi giorni vive come tutti in quarantena, nella casa di Marina d’Altidona. Si esercita al violino, sbriga le faccende domestiche, studia. Se stesse a Smerillo, spaccherebbe la legna, come faceva un tempo con il nonno materno Giacomo del Gobbo o accudirebbe l’orto sempre sotto la sorveglianza del padre della madre. «Ho avuto sempre un forte attaccamento ai nonni, ma con nonno Giacomo siamo stati conviventi per dieci anni. C’è chi va all’università con il compagno di studi, io avevo nonno come compagno. E insieme abbiamo imparato a cucinare la pasta e i secondi, prima ci pensava nonna».
Dopo elementari e medie a Smerillo e Montefalcone, Samuele ha studiato all’Istituto magistrale di Fermo trasformatosi a quel tempo in Liceo Linguistico Giuridico Economico. Poi, la laurea in Filologia moderna all’Università di Macerata con una tesi sul linguaggio del corpo nella comunicazione, “La doppia essenza del linguaggio”. Eh sì, perché Samuele è uno studioso del linguaggio e dei suoi modi di espressione comunicativa. E la musica? Nei primi tempi subita, poi amata.
I primi tempi sono quelli quando viene iscritto alla Gioventù musicale di Fermo, corso propedeutico. Quasi un’imposizione di mamma Bernarda, che però come tutte le mamme, c’aveva visto lungo. Ma l’amore esplode più tardi. Quando a Smerillo si crea un gruppo musicale intorno alla parrocchia e ad una iniziativa chiamata Primavera nella chiesa. Samuele cita due nomi importanti per lui: Vincenzo Carletta e Ludovico Bartolozzi. Dal sacro al profano… alla musica celtica. Una delle prime esibizioni sarà in occasione di Parole della Montagna quando il giornalista RAI Maurizio Blasi lesse alcuni brani letterari e Samuele & C. lo accompagnarono musicalmente. Fu poi la volta delle esibizioni in alcuni locali. Il nome del gruppo? Non c’era. Non ce l’avevano. «Te la dico tutta: ci siamo dati il nome IANUA (porta in latino) per l’ultimo concerto, quello al Festival di Altidona».
Oggi Samuele insegna solfeggio e tecnica del violino in alcune scuole private. Collabora o ha collaborato con l’orchestra “I Sinfonici” di Giulianova, con la sinfonica del Golfo di Minturno, con l’orchestra Bruno Mugellini di Civitanova Marche. Io l’ho apprezzato con i Ta Nèa, giovanissimi archi del fermano-civitanovese. Ma in famiglia si suonava? «Nonno Giacomo era organista in chiesa, suo fratello Antonio suonava organetto e fisarmonica». Per acquistare la fisarmonica, «Anto’ con la gamba di legno e zio Delio andarono a Castelfidardo in bici, portando in spalla 20 chili di formaggio e qualche lira»… Ditemi se non era destino.
Adolfo Leoni, Il Resto del Carlino, Domenica 5 aprile 2020
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