Tredici moto potenti e incolonnate risalgono la Faleriense verso monte. Mi sorpassano rombando a Piane di Falerone. Poco prima ho superato io uno squadrone di ciclisti intruppati a coprire mezza carreggiata. È domenica 23 agosto, ore otto circa. Il traffico intenso non lo è ancora. Lo sarà intorno alle dieci. Per paura del Covid, l’opzione Sibillini è molto gettonata. La frequentazione del santuario della Madonna dell’Ambro risulta ingentissima. Il richiamo religioso si addiziona al cocomero messo a rinfrescare nelle acque dell’Amarus. Io scelgo il fiume o, meglio, quel che ne resta. Le acque sono scarse. La diga a San Ruffino le trattiene forzosamente. Pioggia e neve non hanno aiutato il Tenna. E pure ci sono luoghi suggestivi da scoprire. Uno è sottostante la parte opposta all’antica Torre Ajello, al confine tra Penna San Giovanni e Falerone. Ma quella porzione di fiume la si può raggiungere anche oltrepassato Servigliano e superata appena la strada che portava all’altra Torre di avvistamento: quella di Castel Belluco. C’è un sentiero che scende, e c’è una Casa cantoniera abbandonata, in vendita, e dalle finestre e porte sbarrate. Finito il sentiero si sbuca sulla riva. C’è sabbia fina come al mare, e pietre grosse e levigate. Risalendo il letto quasi asciutto, si arriva ad un restringimento, ad un’ansa. Vegetazione folta di pioppi, salici, faggi. Un abbraccio di alberi ad alto fusto. Superlativo! Costruisco un passaggio di pietra per l’altra sponda. L’acqua sembra pulita. Ma lo è? Mi fermo all’ombra. Un motociclista tenta la traversata, poi ci ripensa. Arriva un suv Toyota, fa qualche metro poi si storna.

L’abbiamo dimenticato, il fiume. Peggio: abbandonato. È una ricchezza invece, e “un’offerta di cultura”. Mi sovviene la scritta che campeggiava sullo stendardo di Lorenzo de’ Medici dipinto dal Verrocchio: “Il tempo sta tornando”. Non che si torni indietro, ma qualcosa sta lentamente cambiando, come la difesa della terra e del buon vivere. Una movida diversa!

In un magistrale articolo dal titolo “Pensiero massonico e modernità”, Michel Maffesoli scrive che riprendono vigore «vecchi archetipi: iniziazione, spiritualità, comunità, tribù, rituali, ecc., che il progressismo moderno aveva ritenuto obsoleti. È in questo senso che la progressività delle saggezze ancestrali, quella del “tempo che ritorna” (ri) trova una forza e un vigore innegabili!». «Non sono più – aggiunge il sociologo-filosofo – gli eventi politici o sociali le preoccupazioni quotidiane della coscienza collettiva, per non parlare di quelli delle giovani generazioni, ma gli eventi in qualche modo paradossali»: l’ambiente, la natura, i fiumi. E il tempo dell’uomo da ritrovare: non il cronometro ma il tempo interiore.

C’è grande pace sulla sponda. Mi dico: adatta alla meditazione. E questa è un’altra ricchezza: il proporre spazi di solitudine (non isolamento) di cui si è sempre più affamati. Un esploratore intervistato anni fa per “Parole della Montagna” mi disse che nel mondo ormai non esistono più zone da scoprire. Da scoprire, ora, c’è solo la persona. C’è molto del sant’Agostino che avvertiva il bisogno di rientrare in noi stessi perché nell’uomo interiore c’è la verità. E scriveva Kirkegaard: «O spirito gentile, che abiti questi luoghi, grazie per aver sempre protetto la mia quiete, per le ore trascorse inseguendo le rimembranze, per il tuo nascondiglio, che io chiamo io!». I fiumi se ne vanno… eppure restano.
Adolfo Leoni, Il Resto del Carlino, Domenica, 30 agosto 2020
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