LE IDEE DEGLI ALTRI. La violenza giovanile e il bisogno di ascolto e vicinanza. Intervista a don Paolo Canale della Pastorale Giovanile

Le ripetute risse dei fine settimana lungo la costa sono più che un campanello d’allarme. Il fenomeno della violenza giovanile è generale, capita ogni week end. Ipocrita supirsi. Lo ha denunciato giorni fa Beppe Severgnini partecipando ad una trasmissione televisiva. Lo ha ripreso il nostro direttore Brambilla dopo i terrificanti fatti di Colleferro dove un ragazzino è stato ucciso solo per il gusto di uccidere.

Se nelle periferie delle grandi città il problema appare più arduo, nei piccoli centri, dove il tessuto sociale non è ancora del tutto slabbrato, potrebbe essere meno difficile tenerlo a bada ed evitarlo. Ma come? Bastano le forze dell’ordine, le telecamere, i controlli serrati? O occorre altro? E dove è finito il monito di educatori che lanciavano il messaggio dell’emergenza educativa? Ne parliamo con don Paolo Canale, parroco a Porto Sant’Elpidio, responsabile della Pastorale giovanile.

Cosa cercano i nostri giovani?

«Non possiamo generalizzare. La mia esperienza da parroco mi porta a dire che ci sono tanti tipi di giovani. Non è un mondo unico. I mondi sono diversi. C’è un giovane che ha chiaro quel che vuole fare nella vita, che s’impegna nello studio, che ha un progetto davanti. E c’è un giovane che non cerca niente. Che riempie il suo tempo con i social, con il divertimento, con il non pensare. Che ha il mito del machismo, del corpo, la cui identità è data dall’avere un nemico…»

La interrompo: però nel caso di Colleferro non c’era un nemico, c’era solo la voglia di una violenza, anche se avesse portato alla morte…

«Qui è la cultura della forza fine a se stessa, del potere ad ogni costo, della prevaricazione, con più il fatto che questi giovani non sanno più dove stia il limite. Si sentono padroni assoluti della propria esistenza. E non si rendono conto di quello che stanno facendo».

Don Paolo Canale

Lei è parroco in una cittadina bella, viva ma anche problematica. Come si muove la chiesa?

«Anche da noi non è facile intercettare, interessare i giovani. Il primo passo però è cercare di dialogare con loro, senza giudicarli, essere vicini alla loro vita. Una esperienza significativa, ad esempio, è stato il nostro gruppo estivo: l’oratorio che si è aperto a tutti i ragazzi delle scuole superiori. Sono stati più di cento quelli che hanno aderito, anche in una dimensione di servizio ai più piccoli. Questo ha creato vicinanza, relazioni. Poi però io avverto una difficoltà: che è quella di fare un passo ulteriore, passare cioè dalla fase della relazione a qualcosa di più. E qui la sfida è quella educativa: cercare di trasmettere valori più alti, la vera consistenza di sé. Non basta l’amicizia».

Qual è il lavoro della Pastorale giovanile?

«In questo tempo, nella nostra diocesi, è forse più quello di un osservatorio di quanto accade nelle parrocchie, negli oratori, alcuni dei quali trainano, altri invece fanno fatica. La Pastorale cerca di metterli insieme in alcune occasioni per vivere momenti importanti, ricchi di significato, come le Giornate della gioventù, l’ultima delle quali, prima del Covid, ha radunato 1200 giovani su un tema religioso, sulla chiamata del vescovo. Un evento che ci ha lasciato stupefatti e ci dice quanta sia la sete di aggregazione e spiritualità dei ragazzi. Io registro anche un’altra fatica: quella di una società che, con l’università, sradica il giovane dal suo contesto territoriale. Gli studenti tornano di tanto in tanto, per cui si indebolisce la relazione costruita in precedenza».

Vi interrogate come chiesa locale?

«Sicuramente andrebbe discusso molto di più. In parrocchia facciamo fatica un po’ su tutto, a volte anche a trovare i catechisti, così l’ordinario distrae dallo straordinario, dal cercare di interrogarsi sui fatti che accadono, sui progetti a lungo termine. Però abbiamo un esempio clamoroso: papa Francesco che invita i ragazzi ad essere coraggiosi, a non stare sul balcone, a prendere in mano la propria vita, a farsene protagonisti. E che dice a noi chiesa di uscire dalle sacrestie, andare incontro alle persone. Spesso però la questione del giovane è quella degli adulti. Le problematiche giovanili sono quelle di una società adulta che falsamente vuole essere giovane, che ricerca l’eterna giovinezza (culto del corpo, sessualità), adulti che imitano i giovani e che così perdono credibilità. Accade allora che i giovani non hanno più modelli cui ispirarsi. Direi che quello che rimproveriamo ai giovani dobbiamo rimproverarlo a noi più grandi»

La chiesa affascina oggi?

«Affascina se riesce ad essere se stessa: Comunità viva di fede. Se resta un involucro di tradizioni e un’agenzie di servizi non attira più».

Adolfo Leoni, Il Resto del Carlino, Mercoledì 16 settembre 2020

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