CAMMINO LA TERRA DI MARCA. Smerillo: la grotta dei fuggiaschi e le acque della salute

54 persone: alcuni statunitensi, qualche spagnolo, e poi marchigiani di città diverse. La proposta di un cammino a Smerillo ha suscitato interesse. Si va. È una domenica di quelle scorse. Sole che picchia ma brezza che rinfresca. Il sindaco Antonio Vallesi ci sta aspetta. Ha una sorpresa. Saremo i primi ad aprire un sentiero sinora mai percorso in gruppo, riscoperto da poco.

Si parte per la grotta

Ci fa da guida Giuseppe Millozzi di Dimensione Natura. Ha scritto un volumetto insieme al prof. Filippo Ieranò sul campo di Servigliano: campo di rieducazione nel 1919, successivamente deposito militare, e, nel corso del secondo conflitto mondiale, campo di prigionia per militari alleati e di internamento per ebrei. Che c’entra? C’entra perché Smerillo diede rifugio ai fuggiaschi. E il luogo dove arriveremo ne è testimonianza.

La grotta di Smerillo

Ci raggruppiamo dinanzi all’arco del paese. Si scende. Il primo tratto è comune a quello della Fessa: la spaccatura tra le rocce. Poi si prende a destra, tra il verde. Attraversiamo un tratto di asfalto rifatto da poco e ci ributtiamo su un viottolo tra gli alberi. In fondo, c’è la contrada Durano ma, a metà strada, giriamo a sinistra, salendo qualche centinaio di metri. Sino ad una radura! Le piante fanno corona. Millozzi indica un punto scosceso. Non facile da raggiungere. Non è per tutti. Occorre avvinghiarsi ai rami e ai fusti degli alberi. Vale la pena, però. Andiamo in diversi. Un percorso di venti-trenta metri. Poi una sorta di piazzola naturale che sporge sulla verticale della montagna. Sconsigliato a chi soffre di vertigini!

Il cammino impervio

Ed ecco la grotta: uno scavo del vento sul lato della montagna, piuttosto ampia, sicuramente riparata, certamente sicura per l’uso fattone durante la la guerra. Mi viene in mente la grotta degli Amanti di Torre di Palme. Le somiglia. Qui, nella cavità di Smerillo, si rifugiavano gli internati di Servigliano scappati dal campo. Difficile accedervi, difficile ritrovarli. Mi soffermo a lungo. Sotto alla piazzola ce n’è una più stretta e una altrettanto striminzita grotta. I ricercati trovavano riparo in questi anfratti, in attesa che i controlli dei carcerieri s’attenuassero. Quanti vi siano passati non è facile stabilirlo.

Ora, da solo, in un altra giornata che minaccia forte tempesta, vado alla ricerca delle acque sulfuree, quelle che nel tratto precedente l’abbazia di San Ruffino emanano il classico odore di uova marce. Sono acque terapeutiche. Procedo da Castorano. Sentiero impervio. Cerco il fosso Rebuscaro, affluente del Tenna. Le sue acque sono mineralizzate. In uno studio degli anni Novanta commissionato dalla Comunità Montana dei Sibillini ad un gruppo di esperti, si legge che «… nelle associazioni arenacee e arenaceo-pelitiche affioranti nel bacino del Rebuscaro sono presenti acquiferi, ricaricati essenzialmente dalle piogge, che alimentano sorgenti, pozzi e il reticolo idrografico». Tralasciando i termini tecnici, significa che esistono polle le cui acque confluiscono nel fosso rendendolo di color lattiginoso. «Sono presenti – si legge ancora – fanghi nerastri dovuti ai depositi delle acque mineralizzate…». Ma esiste anche la sorgente di San Ruffino che «emerge in prossimità dell’alveo di un fosso anonimo, affluente del Tenna, in prossimità della confluenza del Rebuscaro». È un intreccio di sorgenti, di piccole vie d’acqua.

Arriva il vento. Molto forte. Inizia la pioggia. Torno indietro. Appuntamento solo rimandato.

Adolfo Leoni, Il Resto del Carlino, Domenica, 20 settembre 2020

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