La Madonna bruna di Lapedona. Tra il verde e la leggenda

Quasi liberi! E si prova a passeggiare di nuovo. A tornare lungo gli antichi sentieri.

Prendo la strada per Lapedona e salgo a destra, per Madonna Bruna. La chiesa settecentesca è quasi un rudere annesso ad una casa colonica. Era di proprietà del comune di Petritoli. Venne passata all’attuale ASUR fermana, negli anni Novanta. Il piccolo tempio era punto di riferimento per una minima comunità di campagna, e per i viandanti e pellegrini che percorrevano il saliscendi verso Fermo, o da Fermo verso sud, a piedi o con i carri agricoli.

Madonna Bruna! Difficile risalire alle origini di questo nome. Una statua, oggi collocata nella chiesa di san Nicolò a Lapedona, presenta Maria con un colorito scuro. Forse per i fumi delle candele? Però, la Vergine era medio-orientale, palestinese, e nel Cantico dei Cantici si legge: «Bruna sono ma bella, o figlie di Gerusalemme». Di Madonne nere ne esistono diverse: da Loreto a Czestochowa. Una cronaca del XIII secolo racconta che «il re francese Luigi il Santo portò con sé, di ritorno da una Crociata in Palestina, alcune sculture della Vergine Maria che lasciò poi nella regione di Forez. Le statue erano scolpite in legno scuro e provenivano dall’Oriente. Da allora le misteriose Vergini Scure ebbero accesso ai nostri altari».

Sino a cinque anni fa, alla Madonna Bruna si arrivava in processione. Era la sua festa che cadeva nella seconda domenica di Pasqua, come ci spiega don Devis Ciucani, attuale parroco di Lapedona.

Un tempo erano quattro confraternite ad organizzare l’evento. Si pregava, si mangiava, ci si divertiva. Una cronaca più recente ci informa che «A mezzodì, pranzo al sacco con una pagnotta di pane, un uovo lesso e tanto vino offerti dalle rispettive Confraternite». Poi, la secolarizzazione ha preso sempre più piede, e di questi tempi ci si è messo pure il Covid-19. E pure non tutto è andato perduto. Anche quest’anno la celebrazione della messa si è fatta, se pur in streaming.

Lascio alle spalle l’edificio e prendo a destra, rasentando un agriturismo. Attraverso una sorta di tunnel verde. Non mancano i fiori: sono tanti, diversi e coloratissimi. Le tinte della tavolozza del Padreterno sono infinite. Cammino per circa un 45 minuti arrivando in un punto dove la Terra di Marca si dispiega a 360°, con una porzione di Adriatico che sembra raccolto in un imbuto, e i Sibillini con qualche striatura ancora di neve. Mi torna in mente un verso di Ungaretti: «Il mio cuore/oggi/non è altro/che un battito di nostalgia».

Adolfo Leoni, Il Resto del Carlino, Domenica, 16 maggio 2021

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