È sabato 19 marzo. Serata stupenda e pure fredda. Sto andando a Falerone. Mi attende la presentazione d’un libro. Salgo la vecchia strada: da Piane fino al centro. Rasento il Tiro a segno con false torri medievali. C’è una luna incredibile e una stellata che lo è ancora di più. Sembra posarsi, la luna, sui pini della grande casa Bonfigli, sul crinale, dove una meridiana rimanda al tempo che fugge. Lì, nei pressi, c’è la chiesa longobarda di San Paolino. Intorno, un prato curato, olivi dappertutto e giovani alberi che annunciano nascite nuove. Un nuovo Parco.

Abbandono l’asfalto e prendo per la strada bianca. Nessuno in giro. Qualche latrato di cane. Poi, un attimo di silenzio perfetto.
Bianca di neve, la montagna riluce. Raggiungo a piedi la parte più alta della spianata dove insiste la piccola chiesa. Tremule le luci dal fondovalle. Servigliano di fronte. Le rocche di Belluco a sinistra e Ajello a destro non riesco a vederle. Erano a guardia dell’entroterra verso montagna. Il Tenna in mezzo. Sbircio verso il fiume. L’antico mulino Miconi è sotto di me. Ho proposto all’assessore Maria Teresa Quintozzi e all’amico Marco Armellini di raccontare la storia che racchiude quel fabbricato, e che la dimenticanza sta cancellando: quella del massacro degli Insorgenti (quanti si opponevano all’occupazione francese, come gli ucraini di oggi verso i russi) e della morte del giovane ufficiale Luigi Navarra. Correva l’anno 1799, il mese di maggio. I francesi assalgono il mulino, uccidono i presenti. Il Navarra verrà ammazzato qualche decina di metri più avanti, alla Castelletta. Vi eressero più tardi una croce. Oggi sparita. Poi, il sacco di Castel Clementino e la strage di abitanti.

In un testo teatrale d’anni fa, la fata del fiume narrava che «Un’onda più forte, quest’oggi, s’è infranta sullo scoglio più avanti del vecchio mulino: la Castelletta. Nell’urto, uno scrigno s’è aperto: scrigno di tanti ricordi, serbato nel cuore profondo del fiume. Ne è emersa l’immagine ingiallita dal tempo d’un giovane bello, un giovane fiero: Luigi». Una voce dalle acque le faceva eco: «Taci, taci, fata del fiume. Perché ricordare? Perché riaprire passate ferite? Non narrare di cose lontane che spaventano gli uomini, gli stessi che hanno voluto cancellare quei volti».

Trecento persone assistettero all’evocazione del dramma ai bordi del fiume. La Compagnia del Murello mise in scena una storia che ci appartiene. Perché raccontarla oggi di nuovo? Perché dimenticare è recidere fili e legami della nostra comunità.
Si è fatto tardi. È tempo di testimonianze. Ora e sempre.
Adolfo Leoni, domenica 27 marzo 2022
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