Sabato 21 maggio. Il Museo Polare Etnografico “Silvio Zavatti” ha aperto una nuova sala. È quella dedicata alla Collezione Anna Molinari. La compongono oltre cento manufatti degli artisti Inuit. La provenienza è il Nunavut. La donazione fa del Museo fermano uno tra i più importanti d’Europa e sicuramente il maggiore d’Italia.
Lo testimonia indirettamente la giovane laureanda della Ca’ Foscari di Venezia spedita a Fermo dal suo professore a studiare il popolo dei ghiacci. È sorpresa dal materiale: gli oggetti esposti, la biblioteca, l’archivio, la rivista, le foto, le tende, la slitta… Meno lo è del personaggio Zavatti che ne è all’origine. Perché? Perché ormai è acclarato universalmente che il grande esploratore aveva ragione su tutte le sue battaglie: quelle a difesa di un popolo angariato, quelle che riguardavano lo scioglimento dei ghiacci, quelle che consideravano l’Artico al centro delle future attenzioni economico-politiche del mondo per le sue Terre rare. Fu ribattezzato il “Padre degli Esquimesi”.

Per Renato Zavatti è una soddisfazione. Suo padre aveva visto giusto. Non era il visionario o il pazzo come lo si tacciava. Aveva ragione anche quando nel 1945, lanciando l’Istituto geografico, guardava lontano, anticipava temi d’estrema attualità proprio oggi, a 77 anni di distanza. A quel tempo la classe dirigente era occupata (giustamente) a ricostruire dalle macerie della seconda guerra mondiale, e pure Zavatti capiva che l’Artico non era una fissazione, una chimera, un’illusione, l’Artico sarebbe diventato un punto caldo della strategia geo-politica e dell’economia internazionale.

Anche i politici, anche le istituzioni oggi se ne sono rese conto. Così il Museo di Fermo diventa un punto strategico di studi, ricerche, rapporti. Forza centripeta e centrifuga.

Il sindaco Paolo Calcinaro e l’assessore alla cultura Micol Lanzidei lo hanno sottolineato come opportunità di conoscenza. E lo sottolineano anche il parlamentare Mirella Emiliozzi e la consigliera regionale Elena Leonardi.
L’antropologa Daniela Zanin, che ha curato il catalogo, ha presentato gli oggetti Inuit. La sua è stata una lezione profonda, fatta con competenza e, soprattutto, passione. Lei c’è dentro, non tratta di quelle opere come cose neutre da laboratorio. C’è un’anima in quelle sculture, c’è una profonda religiosità. Una identità che ha riscattato gli Inuit. Non le è da meno Lucia Zavatti, storica dell’arte e nipote dell’esploratore.
Il direttore Gianluca Frinchillucci ha gli occhi che brillavano, sabato. Un’altra passione quella degli Inuit oltre a quella del Corno d’Africa o della foresta Amazzonica.
Ed ora si comincia, anzi, si ricomincia. Con il vento in poppa. Il vento ghiaccio del nord.
Adolfo Leoni, Giovedì 26 maggio 2022
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