Il Sacro e il Trascendente nell’opera di Maria Gabriella Colonnella. La sua mostra a Fermo

«Nell’epoca attuale colma di paure e di incertezza, emerge forte l’esigenza di un rinnovato bisogno del sacro, del trascendente, di una sorta di reincantamento del mondo». È la frase che accoglie il visitatore, e apre la mostra di Maria Gabriella Colonnella allestita nelle sale sottostanti il Palazzo dei Priori di Fermo. Resterà aperta sino a domenica prossima.

La pittrice offre una serie di quadri realizzati su tavola, dove il concetto del sacro e del trascendente ne sono il filo rosso.

Si parte con Ultima cena dove una mano si approssima ad un tozzo di pane e ad un bicchiere di vino rosso. Pane e vino hanno un significato mistico che va oltre il nostro cibo quotidiano.

Si procede con una Annunciazione dove la stessa mano accarezza, o è accarezzata, da una calla bianca, fiore che indica purezza, perfezione, vita eterna. Ci sono ancora mani che stavolta si stringono, e tulle e un merletto che indica il labirinto della vita e richiama la nostra libertà di scelta.

Maria Gabriella è minuta, ha occhi profondi e salda cultura. Laureata in Sociologia delle Religioni alla Sapienza di Roma, ha sentito sin da piccola un forte richiamo religioso, che vuol dire legame, ricerca, senso. E le sue opere ne sono conseguenza.

Scriveva Goethe: «L’anima dell’uomo è simile all’acqua: viene dal cielo, risale al cielo, a terra di nuovo ridiscende, in eterna vicenda». Ecco, in un mondo disastrato e, più che confuso, disorientato, l’urgenza è di guardare di nuovo in su. La nostra ce lo fa capire con il grande quadro che sembra un deserto di sabbia, ma sono, probabilmente, le onde di passioni ed anche momenti di depressioni che trovano però una risposta in quella scala applicata al legno dove ci si può inerpicare, aggrapparsi, salire. Il verticale che torna.

«Oggi, il ritorno dell’alto, amato da anime in cerca di spirito, – scrive lo psicoterapeuta Claudio Risé – è un evento rivoluzionario, temuto più di ogni cosa…». Temuto dal potere ma cercato da tanti a volte anche incosciamente.

La mostra non è terminata. Due quadri con lo stesso militare: Mario lo zio della Colonnella, fatto prigioniero dai tedeschi, detenuto in un campo di concentramento, vissuto ai limiti della vita. Con volto e senza volto, con l’uniforme integra e con uniforme mancante di un pezzo. È la denuncia delle guerre, orribili, dice Maria Gabriella. E inutili.

Lei ci accompagna ancora. Non spiega: racconta. Dice che ogni quadro deve interrogare chi lo guarda. È un po’ come il libro che non si legge, ma ti legge dentro se ci confronti te stesso.

La pittrice, che abita a Fermo, a Campiglione, in campagna, ritirata ma attenta, prima de La Sapienza, ha frequentato l’Istituto d’Arte Preziotti, sezione Architettura, poi la laurea in Sociologia, come abbiano scritto, con lode, quindi un Master in Mediazione Sociale ancora con lode, e sempre alla Sapienza. La sua tesi di laurea è stata su Secolarizzazione e Spiritualità. Per scriverla è partita dall’analisi del docu-film: Il grande silenzio. È il racconto della vita quotidiana dei monaci Certosini che vivono nel monastero della Grande Chartreuse, sulle montagne prossime a Grenoble. Monaci che non parlano tra loro, non dicono parole se non durante le preghiere.

Ma, a conquistare Maria Gabriella è stata anche l’opera di Dietrich Bonhoeffer,«una delle figure più rappresentative della teologia e dell’ecumenismo del XX secolo», teologo, partigiano e pastore protestante tedesco, morto nel 1945 in un campo di concentramento.

La mostra non finisce qui. Gli ultimi quadri sono una memoria della pittrice: la sua vita a Monteprandone dov’è nata, i pellegrinaggi a San Gabriele dell’Addolorata e a Loreto, le gite al mare, la venuta a Fermo.

Mentre scriviamo, ci arriva una intervista al sociologo Leonardo Allodi. Sostiene: «Una frase di degrado morale come questa si accompagna sempre ad una riscoperta del senso del sacro» e prosegue: «… l’antropologia dell’homo religiosus, la sua nostalgia per l’Assoluto e il Totalmente Altro, non muterà mai». Arriva giusta. Dunque, una mostra con tante sollecitazioni.

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