Sulle tracce di san Benedetto e dell’Europa, quella vera.

Non è mappato, ma esiste. E qualcuno l’ha sperimentato. È il cammino che da Santa Vittoria in Matenano conduce a Farfa, 195 km, passando per Comunanza, salendo per il Sentiero dei mietitori, giungendo a Forca di Presta e poi giù nella piana

Possiamo definirlo «sulle tracce dei benedettini». E c’è una tappa intermedia che oggi ha più valore di ieri. È quella di Norcia: la patria di san Benedetto, il padre dell’Europa, quella vera, ancora più importante in questi anni dove ricerchiamo l’Europa giusta.

La tappa è presso il monastero di San Benedetto in Monte. Ieri, un priorato; da pochi giorni, un’abbazia con un padre/abate: dom Benedetto Nivakoff (dove “dom” sta per dominus).

Dopo 25 anni dalla sua fondazione per opera di dom Cassian Folsom, è arrivato l’importante decreto che ha suscitato la gioia e la gratitudine dei circa venti monaci – la più parte stranieri – che abitano questo luogo di pace che ha la città davanti e la montagna alle spalle.

I monaci hanno un legame particolare con le Marche sud. Sono amici della Compagnia dei Tipi loschi di San Benedetto del Tronto e di alcuni movimenti ecclesiali.

Il primo maggio del 2015 compirono un gesto di cui ancora si parla. L’abbazia imperiale di Santa Croce al Chienti (Sant’Elpidio a Mare) era muta, solitaria e triste da secoli. Circondata da ombre, con sussulti notturni che sembravano meste invocazioni. Poi, quel giorno, centinaia di persone, giovani in maggioranza, hanno gremito la chiesa medievale ristrutturata per ascoltare una messa in latino, tra canti in gregoriano e profumi d’incenso.

E loro: i monaci di Norcia, sull’altare, con i paramenti che avevamo dimenticati. Sotto le arcate che videro passare anche gli imperatori, prima della celebrazione anche un brano di poesia: «Non tutto quel ch’è oro brilla. Né gli erranti sono perduti; Il vecchio ch’è forte non s’aggrinza. E le radici profonde non gelano. Dalle ceneri rinascerà un fuoco. L’ombra sprigionerà una scintilla. Nuova la lama ora rotta. E re quei ch’è senza corona». Era l’immenso Tolkien de Il Signore degli Anelli. Due mondi, quel giorno si dettagliavano: fuori l’età contemporanea: liquida dove un tempo c’era terraferma, segatura dove un tempo c’era legno. Compatta, unita, tradizionale, e rivolta al sacro, quella di dentro.



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