“L’albero della vita da far crescere ovunque” da Il Resto del Carlino di domenica 3 agosto 2014

Yggdrasil. Una parola celtica. Da pronunciare con durezza. Gutturale. Profonda. Come venuta dalla notte dei tempi. Significa albero. 

Nell’ultima puntata televisiva di Vikings l’immagine era di una pianta che raggiungeva il cielo, fino a Odino e Lug, dei dell’intelletto, della magia e della poesia.
Yggdrasil è anche l’albero della morte e della vita…
Venerdì 1 agosto, nell’inquietante eppur stupenda ex chiesa di san Francesco a Montegiorgio, a due passi dagli affreschi della Cappella farfense, inserito nel cartellone di “Di Villa in Villa” stilato da Nunzia Luciani, ho riproposto una lettura teatrale: la storia di Elena, l’imperatrice, moglie di Costanzo Cloro, madre di Costantino, donna di fede che ritrovò la Vera Croce di Cristo sul Golgota scomparso e dimenticato dagli uomini.
Mi sarebbe piaciuto insistere sulla leggenda celtica di Re Cel, padre di Elen la britanna: re Cel di Caledonia, l’antico re dalla barba bianca e dal pensiero aguzzo, lui che sapeva prima di sapere, lui che vedeva prima di vedere…

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“Yggdrasil, l’albero sacro, il legno che dà vita, che porta rovina agli uomini e porta agli uomini salvezza. Uccide e salva…”. Yggdrasil: la Croce di Cristo, la croce di tutti i derelitti del mondo.
Avrei voluto naufragare dolcemente nei miti del Nord, romanizzati e stemperati dalla letteratura cristiana. Ma parole scritte mesi fa, nell’inconsapevolezza dei tempi a venire, mi hanno sviato e riportato all’oggi.
Gerusalemme: “città tigre”; Gerusalemme: “rosa di sangue”.
A poca distanza si srotola la striscia di Gaza. E’ insanguinata, è campo di crudeltà. Due genti si fronteggiano con tutte le armi possibili. I bimbi saltano in aria: un attimo prima erano sulle altalene, un attimo dopo sono sottoterra.
Gli alberi della vita sono tornati ad essere alberi di morte. Il Golgota, con il suo sacrificio, è scomparso di nuovo. Dov’è un’altra Elena?
Mercoledì 6 agosto sarò invece al Meet in Villa di Catia Ciabattoni, a Porto San Giorgio, a presentare insieme all’autore: Mario Elisei, il libro “Il mio amico Leopardi”. Quel Leopardi che, secondo Francesco De Sanctis, contemporaneo del poeta, “produce l’effetto contrario a quello che si propone”. Invece di annientare gli animi, li mobilita. Invece di chiudere alla vita, apre ad essa.
Sembra stridore avvicinare Elena a Leopardi, Gaza a Recanati. Eppure colgo un nesso. Forse dovuto alle domande: uomo, chi sei? Di cosa sei capace? Come intendi vivere? E qual è il senso del tuo – nostro – vivere?
Elisei “legge” Leopardi come il grande poeta capace di provocare uno scuotimento, capace di fornire uno sguardo attento alle cose che ci circondano. “Sorprenderemo allora il contraccolpo che le cose suscitano nel nostro animo, e ritorneremo a porci domande sopite: perché non mi basta mai niente?”.
Un lavoro di attenzione al reale, di profondo giudizio su quanto di doloroso accade. Un lavoro che ci permette di battere l’emozione e la rabbia del momento che l’attimo dopo diventa inconsistenza, e che invece ridà vigore. Perché, solo guardando con lucidità e apertura, solo cogliendo i nessi, solo svincolati da ideologie e visioni parziali, saremo in grado di affrontare la grande avventura della vita e lavorare perché sia positiva. Per la Terra nostra e le Terre altre.

Adolfo Leoni

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