LA DIFFICILE ORIGINE DEL MADE IN ITALY

Ci sono rimasto male. Non lo sapevo. Me l’hanno raccontato alcuni imprenditori di prima generazione.

Il Made in Italy ha un’origine molto particolare.

Oggi, nella nostra Terra di Marca, per difenderlo e incrementarlo si sbracciano in tanti: Confindustria, CNA, Confartigianato. I calzaturieri sono i più accaniti. Ma anche l’agro-alimentare non scherza. E giustamente.

Sono stati organizzati voli e missioni a Bruxelles. Le ha guidate personalmente il Governatore delle Marche Gian Mario Spacca. Non se n’è venuti a capo. La legislazione europea svolazza, è ambigua, crea più scappatoie che certezze.

Qualcuno si mette sempre di traverso. Il Made in Italy – quello vero – impensierisce l’estero.

Oggi lo si teme. Ieri invece era un marchio… punitivo. Esattamente: punitivo!

E proprio qui sta l’origine. Che proprio simpatica non è. Benevola neppure.

Il Made in Italy nacque non per difendere e promuovere la bontà e la qualità dei prodotti italiani. Nacque invece per l’esatto contrario. Per additarli, boicottarli, tenerli sotto mira, identificare ciò che non si doveva acquistare.

A fine anni cinquanta, inizio anni sessanta dell’altro secolo, Germania, Francia, Inghilterra, per difendere le loro produzioni interne applicarono etichette, come   appunto il made in Italy, ai prodotti stranieri, in questo caso italiani, per invitare e scoraggiare i consumatori locali ad acquistarli. Addirittura, ad evitarli del tutto.

Enrico_Mattei

Il Made in Italy è stata una sorta di gogna per le nostre produzioni. Un indice verso.

Problemi di concorrenza? Probabilmente sì. Ma anche di natura politica. La Germania non ci amava per le giravolte nell’ultimo conflitto; l’Inghilterra si sentiva superiore; la Francia doveva ancora vendicarsi dopo la pugnalata alle spalle del 1940.

E poi, c’era Enrico Mattei. Il grande manager di stato risultava troppo attivo, troppo capace. Soprattutto troppo aperturista e possibilista con il Medio Oriente, con la Persia e il suo Scià (che incontrò a Senigallia), con l’Egitto dei militari, con la Libia e l’Algeria (i cui emissari del FLN lo videro nel Motel Agip di Gela la notte prima del sabotaggio aereo). Le Sette Sorelle non lo amavano certo (Mattei aveva destabilizzato il famoso rapporto 50/50 sostituendolo con il 75 a 25 a favore del paese produttore di petrolio) e non amavano il nuovo protagonismo dell’Italia che stava consolidando un rapporto forte con i paesi emergenti del Mediterraneo, specie quelli del petrolio. Meglio tenerla sotto controllo.

L’Europa unita stava nascendo faticosamente perché le vecchie ferite non erano rimarginate, e i nuovi commerci dipendevano ancora da una logica “nazionalista”.

L’isolamento decretato da quel Made in Italy punitivo, quasi marchio d’infamia, è diventato nel tempo opportunità grazie alla capacità dei nostri produttori: moda, abbigliamento, calzature, agricoltura. La classe imprenditoriale d’allora ha compiuto il miracolo rovesciando la situazione. Facendo di una debolezza una forza. Parte di quella odierna sembra chiedere protezioni alla politica. Forse, dovrebbe insistere solo sulla qualità. Di cui scriveva giorni fa, seppur per altri versi, Pupi Avati, denunciando i tempi cupi della omologante quantità.

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