Minori… per modo di dire. Dall’Ungheria al Guatemala. Simone Meriggi dalla cattedra alla torrefazione

Dall’università al caffè. Dall’insegnamento alla torrefazione. Dall’Ungheria al Guatemala. È la storia – molto sintetica – di Simone Meriggi, fermano, 49 anni.

Un amico mi segnala una torrefazione di qualità a Marina di Altidona e un personaggio particolare che la gestisce. Un conoscente di Milano mi chiede dove possa trovare il caffè Perfero. Tutto a poca distanza di tempo. È un segno. Mi incuriosisce.

Vado. In Via Piave, è il profumo a farmi da guida. Il negozio è accattivante.

Simone è al lavoro. Maglietta nera con lo stemma di un leone cavalcato da un angelo, lo stesso dipinto su una parete. «La parola Perfero – mi spiega – è tratta dal latino, e sta per arrivare alla meta».

Meriggi ha studiato a Fermo, poi s’è laureato in Scienze Politiche e, mentre era militare, ha partecipato ad un concorso per lettore di madre lingua in una università ungherese, facoltà di Pedagogia. Concorso vinto. Così è partito e si è fatto strada. Da lettore di madre lingua a docente incaricato di Storia dei Partiti Politici nella facoltà di Giurisprudenza. Però il caffè è restato sempre sullo sfondo. Nelle ore libere dagli impegni accademici, «per gioco e impegnare il tempo», Simone importava in Ungheria il Caffè Verviano, l’antagonista di Illy. Poi, come sempre accade, le coincidenze non sono mai casuali. Simone torna in Italia: suo padre Nazzareno è malato, ha bisogno di assistenza. Ed ora, lasciato l’insegnamento che fare?

Assecondare il gioco e la passione. Così, il dr Meriggi inizia a frequentare, a Fermo, la bottega di Cafè do Valé dove impara l’arte della tostatura- torrefazione. L’incontro con Daniele Pioppi, ristoratore di 62 anni, anche lui fermano, dà una svolta alla vita professionale. Il duo punta decisamente sul caffè. Vogliono creare un prodotto incentrato sulle piccole aziende agricole.

Nasce così La Torrefazione Srl e il marchio Perfero. Simone e Daniele entrano in contatto con la cooperativa di commercio equo Shadhilly di Fano. Sono affascinati da un progetto in atto in Guatemala. Il caffè viene acquistato dai piccoli produttori locali seguiti dall’agronomo Ramon Manuel.

Simone mi conduce nel deposito. Ci sono stivati i sacchi. Mi porge un’etichetta viola. Leggo: Cooperativa Integral Agricola Nueva Esperanza del Bosque. C’è riportato il nome del productor, in questo caso è Jorge Guzman, la variedad: Hibrigo, il metodo de secamiento: camas africanas/processo honey.

Ma c’è molto di più di un acquisto diretto dal piccolo produttore. C’è l’aiuto a quelle popolazioni, l’aiuto ad un villaggio fornendo un’infermiera e sostenendo una scuola «arrivata oggi sino alle medie». Simone mi racconta anche di Carmelita: una madre di cinque figlie abbandonata dal marito che è emigrato. Lei è rimasta e sopravvissuta grazie ad un fazzoletto di terra dove ha impiantato, con l’aiuto degli amici italiani, piantine di caffè tipo gheisha provenienti da Panama. Solidarietà, comunità, piccole patrie…

Torniamo nella stanza principale dove c’è Marta Erdei. È la moglie di Simone, ungherese, cura la grafica e i social. Arriva anche mamma Vittoria, lo stesso nome dell’antica macchina di torrefazione accanto alla vetrina. Sugli scaffali, i diversi tipi di miscele. Impera il biologico e il lavoro manuale. Numerosi i premi ottenuti. La clientela non manca. L’80% è all’estero, dagli Usa alla Russia. Ma lo sguardo è al lavoro dignitoso dei campesinos. Motivo e meta.

di Adolfo Leoni, Il Resto del Carlino, Sabato, 23 febbraio 2019

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